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Dopo la pausa estiva, riprendiamo le nostre interviste con i tifosi lontani con una cara amica residente all’estero. Già… chi di noi non ha mai sognato di andare a vivere a Londra, specialmente tra i lettori più giovani? Abbiamo incontrato Paola una tifosa biancorossa che da qualche anno si è trasferita nella capitale inglese ma che segue sempre con grande trepidazione ed entusiasmo le vicende calcistiche del nostro Vicenza.

Buongiorno Paola … eccoci qui a te finalmente. Londra è una città davvero magica, capace di affascinare anche il turista più svogliato con le sue atmosfere di “melting pot” culturale e razziale. Da un lato l’anima isolana con continui richiami alla storia e alla tradizione, dall’altra quella coloniale, crogiolo di diverse culture e religioni.  Come si vive questa realtà da residenti?
Innanzitutto un caro saluto a tutti i lettori di questo bel sito. Nonostante manchi dall’Italia da parecchi anni, il mio imprinting biancorosso rimane immarcescibile, ancor più amplificato in questo calderone multiculturale in cui mi trovo a vivere. Londra è sempre stata una città cosmopolita e io avevo bisogno di stimoli. E proprio la sua multiculturalità, la meritocrazia e la quantità diversa di persone che incontri mi hanno attratto come un magnete. Come residente proveniente da un altro paese europeo non puoi non notare come la diversità qui venga vista come qualità e non un difetto. Londra è la città delle grandi occasioni; se hai voglia di farcela, se arrivi con intenzioni serie di lavorare e imparare, e non ti spaventa la novità, puoi riuscire in poco tempo a fare carriera, indipendentemente dall’età, razza o sesso. In questo mix culturale non ti senti mai straniero anche se talvolta, essendo una metropoli, le persone tendono a relazionarsi con superficialità e questo può sfociare in arroganza o maleducazione.

Nel calcio inglese invece vige il partito dei cosiddetti conservatori … nella storia della Nazionale i giocatori in maglia bianca sono quasi tutti provenienti da club inglesi e gli allenatori – a parte Capello e Eriksson – tutti sudditi di Sua Maestà la Regina. Secondo te come mai?
Mi permetto di dissentire con la tua osservazione. Come sottolineavi nella tua domanda di apertura, la tradizione colonialista ha lasciato in eredità all’Inghilterra un calderone di razze ed etnie. La nazionale trae vantaggio da questo rimescolamento e oggi molti nazionali inglesi sono di seconda o terza generazione caraibica (penso all’attuale stella Raheem Sterling o ai precedenti Sol Campbell o Ashley Cole, ora alla Roma); nonostante questa integrazione, purtroppo si verificano ancora episodi di razzismo e omofobia nei confronti di questi inglesi acquisiti. Da un punto di vista sportivo credo che la nazionale inglese non potrà mai essere competitiva al pari di nazionali come quella italiana, tedesca o brasiliana. Non può attingere dal vivaio gallese, scozzese e nord-irlandese in quanto questi paesi, pur essendo parte della Gran Bretagna, come nazionali competono individualmente. Molti talenti perciò vengono persi in questa frammentazione (ricordo per esempio l’irlandese George Best, oppure i più recenti gallesi Vinnie Jones e Ryan Giggs, grandi tesserati di club inglesi ma impossibilitati a giocare per la nazionale inglese). Se si guarda agli allenatori di passaporto britannico, anche questo tasto è alquanto dolente. Se si esclude l’attuale Roy Hodgson, che sembra resistere ma con non poche difficoltà, l’Inghilterra ha sempre vissuto alterne fortune che sottendono a una carenza cronica di allenatori di calibro internazionale in grado di aspirare a risultati più che mediocri.

Il football inglese è – a mio modesto avviso – il più bello del mondo. A questo aggiungiamo che il modello britannico riesce a proporre un calcio scevro di violenze e di intemperanze sugli spalti, con il pubblico che sembra assistere compostamente alla gara come alla prima in un teatro piuttosto che a una partita di calcio. Ci puoi raccontare la tua esperienza al riguardo?
ll calcio nasce in Inghilterra ed è decisamente uno dei più bei prodotti anglosassoni esportati al mondo; non dimentichiamo che il calcio arriva in Italia (per la precisione a Genova) via mare con lo sbarco delle navi di sua Maestà britannica alla fine dell’800. Quando io mi trasferii a Londra il fenomeno degli hooligans era già stato arginato grazie alle misure imposte da Margaret Thatcher, la lady di ferro, a seguito delle tragedie dell’Heysel e di Hillsborough della seconda metà degli anni Ottanta. La lotta contro gli hooligans venne combattuta all’insegna di due precetti: prevenzione e repressione. Questo lo si vede in ogni stadio calcistico, e io lo esperimento anche sui campi da rugby: completa ristrutturazione degli impianti (con l’eliminazione delle barriere tra campo di gioco e tribuna, con la presenza di seggiolini in tutti i settori e con l’uso di telecamere a circuito chiuso); responsabilizzazione delle società ora garanti della sorveglianza all’interno degli stadi attraverso la presenza di steward in collegamento con la polizia presente solo all’esterno; applicazione del Football Offences Act che permette di arrestare e far processare per direttissima i tifosi anche solo per violenza verbale. Forse queste misure tolgono parte della passionalità che un evento sportivo suscita ma sicuramente hanno permesso il ritorno sugli spalti di quel pubblico pacifico e sportivo il quale vi aveva rinunciato per paura dei ripetuti episodi di guerriglia urbana. A differenza degli stadi italiani, quegli inglesi sono sempre pieni!

Qualche esteta del football afferma che la vera essenza del calcio inglese si gioca nei campi di seconda e terza divisione. Tu cosa ne pensi?
Credo che questo concetto si possa facilmente applicare anche al calcio italiano. I piccoli clubs danno la possibilità ai giovani di esprimere il proprio potenziale e crescere come uomini e atleti. Il tifoso inglese vive costantemente la frustrazione della mancanza di risultati importanti della nazionale inglese e lamenta il fatto che i grossi clubs non diano spazio ai giovani “autoctoni” in modo tale che questi possano consolidare il loro talento e diventare dei campioni. Il calcio inglese della Premier League, a causa delle speculazioni e degli interessi commerciali, si è trovato prima di quello italiano a perdere la sua dimensione “giocosa”; solo le compagini delle serie minori sembrano mantenere quei valori di correttezza, lealtà e spirito di appartenenza che sono offuscati nelle società più ricche e blasonate. Purtroppo il timore è che anche il mondo del rugby stia per essere investito da queste esigenze commerciali.

Per quanto riguarda invece il tifo, come hai visto la presenza femminile sugli spalti? Che differenza hai trovato rispetto all’Italia?
Purtroppo da tanti anni non sono una grande frequentatrice di stadi calcistici ma posso fare un confronto con il mondo del rugby. A differenza dell’Italia constato che qui il calcio non sia considerato come uno sport di squisita prerogativa maschile. La presenza femminile sugli spalti è massiccia, decisamente superiore rispetto all’Italia ma questo succede in qualsiasi sport; ogni pratica sportiva gode di una buona esposizione mediatica, anche la più sconosciuta (cricket, biliardo, bocce, per indicarne alcuni, sono sempre seguiti live anche sui canali pubblici come la BBC). Un mese fa, per esempio, si sono svolti i mondiali di calcio femminile in Canada. La BBC ha dato grande rilievo all’evento trasmettendo tutte le partite della compagine inglese in diretta comprese le semi-finali e la finale. Questo ha avvicinato molte ragazzine al calcio sia a livello agonistico che a livello da pure spettatrici.

Francesco Guidolin ha più volte dichiarato di voler provare l’esperienza con il calcio inglese. Che squadra lo vedresti allenare?
Francesco Guidolin è sempre stato un allenatore a cui ho guardato con estremo affetto e ammirazione per la sua integrità e rigore professionale, al pari di Gibì Fabbri. Lo vedrei bene con i Bees del Brentford FC; qui sono un po’ di parte in quanto il Brentford FC è una squadra locale (ovest di Londra) che attualmente milita nella Serie B inglese (Football League Championship). Come il Vicenza per un soffio ha mancato la promozione alla Premier League lo scorso campionato! Il Brentford lo si può facilmente paragonare al Vicenza come spirito di squadra e dimensioni societarie ma in più ha un grandissimo seguito di tifosi, anche in Italia. Il Brentford è un club che appartiene ai tifosi, gestito dal Trust “Bees United”, un organo di controllo che vigila sull’andamento e la gestione della società; un ottimo modello da seguire come esempio di azionariato popolare in una squadra di medie dimensioni come il Vicenza.

Dimmi, che effetto fa parlare di calcio e di Vicenza a Londra, c’è ancora qualcuno che si ricorda della semifinale Chelsea vs Vicenza del lontano 1998?
Ahimè, purtroppo di sostenitori vicentini a Londra ne conosco gran pochi! Molti dei miei amici veneti in Inghilterra sono cresciuti a pane e Juventus, e per loro rimane solo un richiamo affievolito al Real Vicenza dell’indimenticabile Gibì Fabbri. Ma io di quel sogno europeo ne ho un ricordo stupendo! La vittoria della Coppa Italia del maggio del 1997 coincise con il mio trasferimento a Londra. La sera prima ero al Menti a festeggiare la grande prodezza del Lane, il giorno dopo sull’aereo per iniziare un nuovo capitolo della mia vita. Ho avuto la grandissima fortuna di trovare subito lavoro in una compagnia gestita da uno straordinario tifoso del Chelsea il quale, come pratica aziendale, regolarmente invitava i clienti più importanti ad assistere alle partite dei Blues. Quando seppe del mio amore biancorosso non esitò a portarmi con lui allo stadio di Stamford Bridge per la semi-finale dell’allora Coppa delle Coppe. Che emozione! Ricordo la corsa disperata contro il tempo per far arrivare dall’Italia la sciarpa del Vicenza, orgogliosa di sfoggiarla tra i tifosi del Chelsea; non dimenticherò mai la gioia immensa al primo gol di Luiso sotto una pioggia battente e la delusione cocente al terzo botto del Chelsea. Ero convinta che il Vicenza ce l’avrebbe fatta a battere mostri sacri come Zola e Vialli ma il destino decise che il nostro sogno europeo doveva fermarsi lì.

Parliamo ora del nostro Vicenza. Dopo la bella cavalcata dell’anno scorso con la promozione in serie A sfuggita per un soffio, che sensazioni hai rispetto al campionato che sta per iniziare?
Lo scorso anno a inizio stagione non mi sarei mai aspettata un campionato così positivo e pieno di gradevoli sorprese. Sono sempre stata ottimista, il cuore biancorosso pulsa in ogni istante; credo che sarà un anno impegnativo ma ugualmente entusiasmante. Sono contenta che mister Marino abbia deciso di restare perché la continuità quest’anno sarà fondamentale. Lo scorso campionato abbiamo costruito le basi, ora bisogna cominciare a consolidare. Speriamo di avere un pizzico di fortuna in più perché il Vicenza ha tutte le carte in regola per risalire in Serie A e mettersi in mostra tra le grandi. Sono una simpatizzante del Chievo e non vedo perché il Vicenza non possa aspirare a un ruolo di provinciale di lusso in Serie A a fianco del Chievo. L’altra veronese… che si prepari a farci spazio!

Parlaci della tua passione per il rugby, so che sei una grandissima appassionata della palla ovale…
Eh sì, chi l’avrebbe mai detto! Considerando la tradizione rugbystica dell’Est del Veneto quando mi venne proposto di entrare nell’organico della RFU (Rugby Football Union) come accompagnatrice, non ho potuto rifiutare! Non sono ancora particolarmente avvezza alle regole del rugby ma mi sto impegnando! Tra un mese inizierà il campionato mondiale allo stadio di Twickenham (altre partite si giocheranno a Cardiff, Leeds e altre città inglesi) dove il secondo appuntamento vedrà l’Italia confrontarsi con la Francia. Io e il mio team non stiamo più nella pelle tanta è l’eccitazione ma anche l’ansia per un evento così importante. Gli occhi di tutto il mondo rugbystico saranno rivolti a noi, NO PRESSURE THERE, direbbero gli inglesi! Comunque vada sarà un onore vedere la nostra nazionale in azione con non poche speranze di figurare bene.

Vuoi mandare un messaggio e un saluto alla squadra, al mister e ai tifosi biancorossi che ci leggono?
E’ proprio vero che il primo amore non si scorda mai. Se non fosse stato per Paolo Rossi, Franco Cerilli, Valeriano Prestanti, Giorgio Carrera e tutto il Real Vicenza del 1977, probabilmente ora sarei una tifosa juventina! Auguro a mister Marino di ripetere con successo la stagione appena passata, ma questa volta in cima alla classifica senza l’angoscia dei play-off, e ai ragazzi in campo di affrontare il campionato con entusiasmo e umiltà. Io rimarrò a Londra ancora per qualche anno e non mi dispiacerebbe chiudere questo capitolo anglosassone della mia vita con uno scontro Chelsea-Vicenza in Coppa Campioni, questa volta però con un sonoro 3-1 per i colori biancorossi! Forza Lane!!!

Grazie Paola… il tuo auspicio è anche il nostro: sognare non costa nulla …

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