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L’idea di intervistare Luisa Nicoli mi è venuta venerdì sera alla presentazione del L.R. Vicenza in Piazza dei Signori. Ci sono cose che non si possono spiegare e che si leggono chiaramente negli occhi di chi sta vivendo un’emozione così forte da non poter essere tradotta con le parole. Ecco quello che ho visto ieri nello sguardo di Luisa. Ci siamo guardate e non è servito dire null’altro. Luisa la conosciamo bene, è un’ottima professionista, una radio e telecronista che ci ha raccontato le pagine più belle e purtroppo anche le più brutte della storia del Vicenza, sempre con competenza e garbo. Cerchiamo di entrare con discrezione nella sua sfera personale per conoscerla più da vicino.

Buongiorno Luisa. Tutti sanno che sei una grande tifosa e ti apprezzano anche dal punto di vista professionale. Dal tuo punto di vista, perché molte ragazze sognano – come hai fatto tu – di mettersi al servizio dell’informazione sportiva?

E’ difficile rispondere per gli altri. Io posso raccontarti perché ho voluto intraprendere questa strada. La prima volta che sono andata allo stadio Menti mi sono letteralmente innamorata del calcio e del Lane. Era il 1977, avevo 9 anni. Andavo con il nonno in tribuna numerata laterale scoperta, quella che poi è diventata la Curva Azzurra. Da quel giorno non sono più voluta mancare. La stagione successiva, 1977/78, mi ha fatto sognare. Ero una bambina e i giocatori del Real Vicenza di G.B. Fabbri per me erano una sorta di eroi. Da allora il mio sogno è diventato essere una giornalista sportiva e raccontare le emozioni che lo sport regala. Ti confesso una cosa: in quinta elementare scrivevo di calcio nel giornalino della scuola e nel tema con argomento a scelta ho raccontato “Paolo Rossi, mister 5 miliardi”. Ho l’album Panini completo della stagione del secondo posto dietro la Juve. Con gli autografi. Più volte mi hanno offerto denaro per comperarlo. Per me non ha prezzo. Scrivere mi è sempre piaciuto e così ho unito due passioni. Ho il calcio nel cuore e il giornalismo mi ha sempre attratta.

Come mai hai scelto la carriera della televisione e della radio e non quella della carta stampata ….

In realtà ho iniziato poco dopo i 20 anni dalla carta stampata, con Gianmauro Anni in “Sport Quotidiano” e “Sport Vicentino” dove ho fatto la gavetta e ho imparato molto. E poi ho continuato tra radio e televisione con diverse collaborazioni anche sui quotidiani sportivi. Da anni scrivo per “Il Giornale di Vicenza” dove però non mi occupo di sport, e sono comunque la corrispondente del “Corriere dello Sport – Stadio”. Radio e televisione, a TVA Vicenza ho lavorato per quasi 15 anni, sono arrivate quasi per caso: tutte esperienze importanti che mi hanno aiutato a crescere.

Hai iniziato la tua attività che eri molto giovane. A chi devi dire grazie?

Sicuramente alla mia famiglia: lo sport si è sempre respirato in casa. Ricordo quando, nei primi anni Ottanta, andavamo allo stadio tutti insieme. La famiglia Brambilla: papà faceva una sorta di appello, per controllare che ognuno avesse abbonamento o biglietto e il cuscinetto. Te lo ricordi? Quello a strisce biancorosse che si piegava a metà con l’elastico? E poi si partiva. Loro mi hanno sempre sostenuta nelle scelte. Ho un diploma di ragioneria nel cassetto e quando ho detto che avrei voluto provare la strada del giornalismo non mi hanno fermata. E poi a me stessa. Perché ho dovuto superare diversi ostacoli, ho fatto la gavetta vera tra tanti sacrifici ma non ho mai mollato. Ci sono state persone importanti nel mio cammino professionale, soprattutto nei primi anni. Non faccio nomi per non dimenticare qualcuno ma gli ho già detto grazie.

Il giornalista ha il tempo di pensare a quello che scrive. Nelle interviste TV e alla radio invece si va in diretta …. senza filtri ….

Vero. Mi piace molto l’immediatezza di radio e televisione. Certo non sempre è facile gestire l’imprevisto, la risposta che non ti aspetti, la reazione stizzita ad una domanda non gradita. E’ l’esperienza che ti aiuta in questo caso. Mi è anche successo che l’intervistato se ne sia andato arrabbiato davanti alla telecamera.

Tu avevi il delicato compito di raccogliere le interviste post partita. Penso sia molto difficile riuscire a fare le domande giuste nel momento sbagliato … magari dopo una cocente sconfitta ….

Credo che vada trovato il modo giusto per fare le domande. Come in ogni situazione. Senza aggressività ma cercando di avere comunque delle risposte. A volte, come ho detto, l’intervistato si “scalda” e bisogna mediare. Sono sempre stata convinta che se le domande vengono poste con i modi dovuti si riceva sempre una risposta.

Secondo te, si può essere nello stesso tempo bravi giornalisti e grandi tifosi?

Sì ma bisogna trovare un equilibrio e non farsi condizionare dalla passione. Io ho un cuore biancorosso, è noto, ma cerco sempre di separare la professione dal tifo. Però le emozioni che vivo, visto che per me è anche una passione, sono diverse. E molto più forti. Ti faccio un esempio: ancora oggi quando sento i Carmina Burana che hanno accompagnato l’ingresso in campo del Vicenza nella finale di Coppa Italia al Menti mi vengono i brividi e gli occhi lucidi.

L’intervista che avresti voluto fare e ti è sfuggita?

Che mi è sfuggita nessuna. Però ci sono alcuni personaggi del mondo del calcio che avrei voluto intervistare e conoscere, come Pelè, il mio mito Van Basten, Gary Lineker (ve lo ricordate?) e molti altri. Anche di altre discipline sportive.

Il personaggio più difficile da intervistare?

Non vorrei fare nomi. C’è stato un allenatore, rimasto a Vicenza non a lungo perché esonerato prima della fine della stagione, che mi ha dato del filo da torcere. Non amava i microfoni ed era spesso sulla difensiva. Ma non era colpa dei giornalisti se il suo Vicenza non ingranava. E’ stato un po’ di anni fa. E poi qualche personaggio “societario”: quando si cerca di non dire e di evitare le domande scomode. Con i giocatori molto meno, anche se con chi non ama parlare diventa più difficile arrivare a fine intervista. All’inizio ho dovuto combattere pure con la mentalità del “sei una donna, cosa vuoi capire di calcio” ma per fortuna è durata poco.

Tu che sei così gentile e garbata, ha mai perso la pazienza durante un’intervista? 

Qualche volta ma non ho mai fatto trasparire nulla. Però probabilmente in alcune occasioni si è percepito perché all’incalzare delle domande l’intervistato si è seccato e infastidito.

Tra tutti i calciatori che hai conosciuto ce n’è stato uno in particolare che avrebbe potuto intraprendere la carriera del giornalista?

Si, qualcuno si. Con Viviani ci abbiamo scherzato tante volte. Per i calciatori forse è più facile approdare al ruolo di opinionista sportivo ma alcuni di loro avrebbero potuto tranquillamente farlo.

Ti sei sempre sentita libera di dire in diretta quello che pensi oppure anche il radiocronista deve seguire una linea editoriale?   

Parlando di calcio ho sempre detto quello che pensavo, con le dovute maniere. A volte sono stata tacciata di essere “troppo buona” ma sono convinta che per esprimere le proprie opinioni o considerazioni e anche per criticare si possa fare con toni garbati, non è necessario alzare la voce. Purtroppo noto che nel mondo del giornalismo, e non solo sportivo, a volte conta chi urla di più.

Ieri sera in Piazza dei Signori si è presentato anche il patron Renzo Rosso. Grandissima presenza scenica, abilissimo comunicatore. Hai a disposizione una sola domanda … che cosa gli chiederesti?

Una sola? Accidenti, troppo poco. Beh mi piacerebbe conoscere meglio il suo rapporto con il calcio, se andava allo stadio da bambino, se si è appassionato per qualche squadra o qualche giocatore, insomma cosa significano per lui lo sport e il calcio in particolare. Che emozioni gli danno.

Grazie Luisa di questa chiacchierata. Un’ultima cosa … consiglieresti ai giovani di intraprendere la tua professione?

Solo se dentro hanno una grande passione.

 

 

 

 

 

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