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A volte ritornano, e non sto parlando dei due film ispirati ai romanzi del mago dell’horror Stephen King.

Questa storia comincia nell’estate del 1990.

Sulla panchina biancorossa si siede Pino Caramanno, che tutti ricordiamo vuoi per aver portato a Vicenza nomi sconosciuti come i vari Campanella, Gnoffo, Carnà, Ficarra e Macrì ma soprattutto per aver pescato nel mazzo l’asso di cuori, Domenico Di Carlo.

Ricordo molto bene il suo debutto al Menti contro il Baracca Lugo. Aveva due mattoni al posto dei piedi. Inguardabile. Ma da quel giorno diventa una presenza pressoché fissa in squadra, anche con mister Pasinato.

Ci pensa poi il mitico Renzo Ulivieri a modellarlo tecnicamente, come fa un grande sarto capace di confezionare un capo di haute couture con la stoffa comprata al mercatino rionale.

Tutto quello che la natura non gli concede nei piedi, Mimmo ce l’ha nella testa e nel cuore.

Stefano Civeriati, il nostro amatissimo Doge di Vicenza,  suo compagno di camera nelle trasferte e nei ritiri, ne traccia un ritratto di persona disponibile e di grandissima personalità. “Mimmo era unico, in campo e fuori. Generoso e tenace come pochi. Quando giocavamo insieme gli dicevo sempre di mettere la mia foto sul comodino come si faceva una volta con i santi protettori e di pregare per me, che non mi venisse l’influenza o qualche altro dei miei acciacchi al ginocchio, perché altrimenti avrebbe perso.  Ma correva anche per me Mimmo, quanti km ha fatto al posto mio ….”

L’idolo del curva sud Nando Gasparini lo ricorda così “Mimmo è stato un grandissimo giocatore ma soprattutto un grande Uomo. Oltre a essere una presenza insostituibile in campo, ha rappresentato un punto di riferimento e un esempio per i giocatori più giovani. Anche per me, il primo anno con Caramanno … mi ha fatto crescere calcisticamente e psicologicamente. Non si può non volergli bene!”

Gianni Lopez, il Capitano, spende solo belle parole per lui. “Con Mimmo ho passato sei anni indimenticabili, il nostro era un rapporto di grandissima stima e considerazione reciproca. Aveva una bella personalità, era un mediatore e cercava sempre di sistemare le situazioni che richiedevano un piglio un po’ autorevole. Se non ci riusciva, arrivavo io. Questa era un po’ la dinamica del nostro spogliatoio. Io Mimmo, Fabio e Roby eravamo i tre moschettieri più uno, io mi ero ritagliato il ruolo di d’Artagnan. Ricordo che l’idea ci venne a una cena e si era deciso di presentarci così vestiti la sera successiva alla trasmissione sportiva di TVA. Eravamo davvero una squadra molto affiatata, stretta da un grande legame. Magari non li sento tutti i giorni ma quello che un tempo ci ha unito è ancora un sentimento vivo. Auguro a Mimmo tanta fortuna …. per lui e per il bene che voglio al Vicenza. Finalmente avete una società ricca, un grande allenatore e un ottimo direttore sportivo. Adesso bisogna costruire una squadra vincente, il Vicenza deve tornare nell’Olimpo del calcio . “

Una carriera unica e irripetibile quella di Mimmo Di Carlo, che l’ha portato dai campi spelacchiati di Baracca Lugo e Sesto San Giovanni alla semifinale di Coppa delle Coppe allo Stamford Bridge, passando per la conquista della Coppa Italia. La maglia biancorossa portata con onore e orgoglio in tutti gli stadi d’Italia e in Europa, a rappresentare il valore del blasone più antico del Veneto, la nostra cultura e la nostra storia.  Perché la maglia del Vicenza non è un valore solo sportivo.

Che cosa ricordo io di Mimmo? Su tutto ho un’immagine nel cuore: il braccialetto biancorosso in stoffa intrecciata, con ricamati  – a punto croce – i nomi delle due figlie. La moglie Annamaria l’aveva preparato per lui per la finale di Coppa Italia. Per me questo rappresenta tutto. La passione per il calcio, il legame con la squadra e la città, l’amore per la famiglia.

E poi un libro “Nel cuore del Sudamerica”, che racconta la vita calcistica sua e dell’amico fraterno Fabio Viviani, uniti non solo dalla passione per il pallone ma anche dalla sensibilità ai temi sociali e che li vede sostenitori di diverse iniziative per raccogliere fondi in favore dei paesi poveri del mondo. Ma quello di Mimmo non è solo un mero aiuto finanziario, si reca di persona con la moglie e le due figlie nel cuore del Perù a Las Lomas, a provare per qualche tempo l’esperienza di vita in una favela, dove da anni opera un suo amico vicentino.

Fatti quindi, e non solo parole. Un uomo di generosità e di concretezza, nella vita come nei campi di calcio. Il suo ritorno a Vicenza rappresenta la prima pietra su cui edificare la cattedrale calcistica del L.R. Vicenza. A questo proposito prendo in prestito una vecchia metafora medioevale e ve la racconto in chiave calcistica.

Un tifoso entra allo stadio Menti dove si stanno allenando alcuni giocatori.

Incontra il primo e gli chiede “Che cosa stai facendo?”

L’altro gli risponde di malumore: “Non vedi, sto giocando al pallone …”.

Il tifoso passa oltre e incontra un secondo calciatore. Anche a questo chiede cosa stava facendo. “Sono un calciatore professionista, guadagno da vivere per me e la mia famiglia … ” gli risponde il calciatore in tono calmo, con una certa soddisfazione.

Il tifoso prosegue ancora e, trovato un terzo calciatore, gli rivolge la stessa domanda.

Questi rispose con orgoglio “Sono un giocatore del Vicenza, indosso l’amata maglia con la R sul cuore e sto lavorando per riportare la mia squadra dove merita di stare”.

Questo è il Lane che vogliamo, e so che questo lo vuoi anche tu.

Bentornato a casa Mimmo.

 

Occorre sempre seminare dietro una pretesto per tornare, quando si parte.
(Alessandro Baricco)

 

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