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Questa settimana raggiungiamo a Ostia, in provincia di Roma, un grandissimo tifoso del Vicenza e non solo: stiamo parlando di Stefano D’Aversa, l’indimenticata ala destra biancorossa che ha indossato per due anni la maglia con la R sul petto.

Buongiorno caro Stefano, vorrei presentarti a chi non ti conosce con un aneddoto: sei cresciuto e hai giocato nella Roma con grandi campioni come il compianto Agostino Di Bartolomei, Bruno Conti, Bacci. È vero che conservi in cornice la tua maglia del Lanerossi Vicenza?
Della mia carriera di calciatore conservo quattro maglie: quella della Roma, quella della Nazionale juniores, quella della Nazionale under 21 e naturalmente quella con il numero sette del Vicenza. Non ho problemi a riconoscere che è quella a cui sono più legato. Ti devo confessare che è stata una grande fatica procurarmela, a quei tempi ci davano le magliette contate e non si poteva conservarle o regalarle, il Presidente Farina infatti ci multava quando sparivano.

Sì però la mitica maglia numero sette ha ispirato fior di scrittori (Fernando Acitelli con “La solitudine dell’ala destra” e Francesco De Gregori con “La leva calcistica del ‘68). Per te invece che significato ha avuto il ruolo di chi macina chilometri e chilometri sulla fascia il più delle volte per far segnare gli altri, forse l’umiltà di chi si mette sempre e comunque al servizio della squadra senza smanie di protagonismo?
Io a Roma ho sempre giocato con il numero 9, ricordo che nella finale di Lisbona con la Nazionale Juniores i giornali sportivi locali, colpiti dalla mia grande prestazione, mi avevano soprannominato “El Diablo”, nomignolo che poi mi è rimasto per sempre. Correvo così tanto che Liedholm diceva che ero l’olandese della Roma. E’ stato proprio a Vicenza che Scopigno, per le mie caratteristiche di velocità e di dribbling, mi aveva spostato all’ala destra. Un po’ il contrario di quello che sarebbe successo a Paolo Rossi, spostato da ala destra a centravanti da Gibì Fabbri. Come ti dicevo con Scopigno fui sistemato sulla fascia e nelle prime quattro segnai 4 gol, uno anche in Coppa Italia.

Sei arrivato nella stagione 1975/1976: ci vuoi ricordare come avvenne il tuo passaggio al Vicenza? O meglio, la piccola ma nobile provinciale ha avuto un significato particolare per te che ti sei sempre schierato dalla parte dei più deboli?
Sono sempre stato una persona modesta e ho sempre voluto bene alla gente che era in difficoltà. Venivo da una famiglia di borgata, il papà era muratore e la mamma casalinga. Anche quando sono diventato famoso non ho mai dimenticato le mie origini umili. Mentre qualche altro compagno di squadra della mia età frequentava i locali del centro che pullulavano di ragazzine adoranti, io andavo a bere il caffè al bar da Bepi, dove sapevo di trovare i tifosi più anziani che non vedevano l’ora che arrivassi per parlare di calcio con me. Eh sì, sono sempre stato uno che va controcorrente, aiutare la gente mi faceva stare bene. A Vicenza ero giovane e ingenuo, stavo scoprendo la vita e cercavo di accumulare esperienze da chi ne sapeva più di me. Ero ancora un ragazzo e mi sono sempre ispirato a Galuppi e Cerilli. Galuppi era un grandissimo giocatore ma ormai a fine carriera, poi è arrivato Cerilli e da lui c’era solo da imparare.

Che ricordo porti nel cuore con più affetto di quei due anni?
Con Scopigno il primo anno ho avuto la gioia della maglia di titolare, è stato un grande campionato. Non era facile risalire e fu una grandissima soddisfazione riportare il Lanerossi in serie A. L’anno successivo, con Gibì Fabbri, in casa si giocava a due punte, cioè io e Paolo Rossi e poi Franco Cerilli dietro le punte. Fuori casa invece solo con una punta davanti, Paolo, Cerilli a destra e Filippi a sinistra. Io ero partito per il servizio militare e potevo allenarmi con la Nazionale Militare e solo pochi giorni con la mia squadra. Mi è ovviamente dispiaciuto molto perdere il posto da titolare ma il calcio di quel tempo era fatto così. Paolo aveva il piede benedetto, con lui tutto diventava più facile. Gibì faceva giocare la squadra alla Guardiola, giocatori fortemente motivati perché delusi dalle esperienze precedenti, la famosa fame di vittoria e di riscatto. E così è nato il Real Vicenza. Il ricordo più bello? Volevo così bene al Vicenza che quando ero titolare in prima squadra e Savoini mi chiedeva di giocare con la Primavera in qualche incontro importante accettavo senza pensarci due volte, chiedendo io stesso il permesso a mister Scopigno. Mi ricordo un match con l’Atalanta che vincemmo per tre a zero e segnai io i tre gol della partita. Avrei fatto qualsiasi cosa per il Vicenza.

Era un calcio diverso, vero Stefano? Vicenza era il luogo ideale per i giovani talentuosi che arrivavano dalle grandi società metropolitane: la società li metteva in vetrina e li valorizzava permettendo loro maturazione e visibilità. 
E’ assolutamente vero. Giocare a Vicenza era il top per un giovane. Ricordo che quando ero nella Primavera della Roma assistevano agli allenamenti anche 20.000 spettatori, un entusiasmo incredibile, quasi più che per la prima squadra, non potevamo nemmeno passeggiare per le vie del centro senza che i tifosi ci fermassero per autografi o foto. A Vicenza invece io e Ago (Di Bartolomei, n.d.r.) uscivamo dallo stadio insieme dopo la partita e potevamo tranquillamente andare in centro a piedi a bere un caffè. A Vicenza la gente è bella, ti reputa solo uno che sa fare il suo lavoro. A Roma o a Salerno non si poteva proprio vivere. Ti dico una cosa: se oggi avessi un nipote che gioca a calcio e mi chiedessero dove lo vorrei mandare a giocare, se al Vicenza o alla Juve, io direi subito VICENZA solo VICENZA!

E non a caso erano proprio i grandi giocatori del passato come Berto Menti, Giulio Savoini, Sidney Cunha Cinesinho a prendersi cura dei cuccioli biancorossi.
Io ho avuto come allenatore Giulio Savoini, un mito biancorosso ma soprattutto una bravissima persona. Sai, quando sono arrivato a Vicenza, essendo molto giovane, ho sempre avuto come punto di riferimento i più vecchi come Longoni, Ferrante, Vitali e Sormani. Stavo ore a vedere il Cina che tirava le punzioni a Galli. Il Capitano Faloppa era un uomo di poche parole ma dotato di una grande personalità. Tra i giovani ho sempre ammirato Giorgio Carrera, un vero trascinatore, sempre pronto anche in campo a difendere i compagni.

Qualche giorno fa (8 marzo) mister G.B. Fabbri ha compiuto i suoi splendidi 88 anni. Tu che lo hai conosciuto come allenatore che ricordo hai di lui? Vuoi mandargli un messaggio di saluto tramite biancorossi.net?
Ho visto le foto del suo compleanno, anche lui una persona meravigliosa dotata di grande umanità, soprattutto nei rapporti con noi giocatori. Se dovessi scegliere un uomo che personifichi la figura ideale di padre non potrei che fare il suo nome.

Il Vicenza è diventato Real e portato agli onori della storia calcistica italiana e non solo con il secondo posto nella stagione 1977/1978. Ma pochi si ricordano degli artefici della risalita dalla serie B alla serie A, un vero miracolo culminato con la grande festa di Como. Ci vuoi ricordare i loro nomi per favore. 
Hai fatto bene a ricordarli, questi giocatori hanno fatto grande il Vicenza. Risalire subito è stato difficile e ci siamo riuscito perché ci abbiamo messo il cuore. Quell’anno c’erano grosse squadre che puntavano alla serie A: il Cagliari, il Pescara, il Como, il Catania. I vari Donina, Dolci, Sulfaro e mi ci metto anch’io (gli altri sono rimasti anche l’anno dopo) hanno senz’altro contribuito al secondo a far nascere il Real Vicenza e a conquistare il posto nella stagione 1977/1978..

Hai mantenuto i contatti con qualcuno dei tuoi compagni di squadra vicentini?
Mi sento ancora con Giorgio Carrera, Valeriano Prestanti, Franco Cerilli e Beppe Lelj, con qualcuno al telefono e con qualcun altro via Facebook. Spero di rivederli presto, ho intenzione di ritornare per qualche giorno a Vicenza dopo 40 anni, voglio fare una passeggiata in Corso Palladio e riassaporare i ricordi legati a questa città bellissima.

Siamo arrivati ai saluti.
Saluto tutti i tifosi, sto veramente contando i giorni che ci separano dalla serie A. Tifo Vicenza e non è un mistero, a Roma tutti lo sanno e mi chiedono sempre come va il mio Lanerossi. Sono sicuro che quest’anno ce la possiamo fare, dopo tante delusioni. Forse Vicenza non sarà la provinciale più forte del mondo, ma di sicuro per me rappresenta la città che ho amato di più e che racchiude ricordi indimenticabili. Vi sono vicino con tutto il cuore.

Grazie Stefano di questa bella chiacchierata, ti aspettiamo al Menti allora e incrociamo le dita delle mani e anche dei piedi!

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