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A partire proprio dall’ex ds berico, Sergio Vignoni, che portò il giocatore in biancorosso e che così ce ne parla: “Ho ancora nella mente quando l’ho visto giocare la prima volta. Lui era nella Primavera dell’Atalanta e aveva solo 17 anni. Poi lo volle il Bologna, ma in rossoblu non c’era spazio per decollare. Troppi senatori davanti. Così, alla fine, sono riuscito a farmelo dare. Mi resta il rammarico di non essere riuscito a comperarne l’intero cartellino. Abbiamo esercitato il diritto di riscatto, ma l’Udinese, che nel frattempo aveva acquisito l’intero cartellino, esercitò il controriscatto e lui divenne completamente di proprietà friulana. A volte penso che se fosse stato a Vicenza, quel maledetto 14 aprile, forse si sarebbe salvato. O magari no, chi lo sa. Forse l’epilogo della sua storia era già scritto nel libro del destino. Un ragazzo straordinario. Non ho mai dovuto sprecare una parola con lui. Portava dentro tutte le qualità che rendono un giocatore quella pedina che qualsiasi allenatore vorrebbe avere nella propria squadra”.
Gli fa eco Ernesto Randazzo, che di Mario è stato procuratore: “L’ho seguito da quando giocava negli Allievi. Anche da ragazzino emergeva per la sua personalità e il suo talento. Io abitavo più o meno a 200 metri di distanza dalla casa della sua famiglia e chiesi al padre di poterlo seguire. Ho dunque partecipato a tutta la sua carriera nelle giovanili dell’Atalanta, fino alla finalissima per il titolo persa contro la Roma. Poi tutta la trafila delle Nazionali minori. E i suoi passaggi di maglia, comprese le annate meno felici, a Padova e a Reggio. Voglio dire ai tifosi del Lane che nel cuore di Mario c’erano solo due colori: il bianco e il rosso. Qui da voi aveva trovato la sua dimensione. Amava la gente di Vicenza e anche se non ha mai tradito le sue origini bergamasche, si sentiva per metà vicentino. E questa non è retorica. Altrimenti non sarebbe tornato qui due volte. E voglio rivelare anche un particolare. Morosini è stato vicinissimo ad una terza clamorosa esperienza in biancorosso, nell’ultimo mercato. Lui ha atteso fino all’ultimo, prima di firmare con il Livorno, sperando che si concretizzasse il complesso giro legato a Frison e a Rigoni, che gli avrebbe consentito di indossare ancora una volta una casacca che sentiva come la seconda pelle. Avrebbe accettato ancora una volta di rimetterci dei soldi. Lui era fatto così: ragionava col cuore e non col portafoglio”.
Un altro ricordo, più privato, è quello di suo cugino, Pierluigi Morosini: “Da piccolo Mario era un bambino un po’ introverso. Quando ci si trovava in famiglia, lui non spendeva tante parole. Magari preferiva andare in camera sua e starsene da solo. Era arrivato tardi, quando i genitori non se l’aspettavano più. E’ capitato per caso, scherzavamo noi zii. Le sfortune familiari l’avevano colpito duramente: la morte del fratello, poi della madre e infine del padre. E sua sorella Maria Carla, così segnata dalla sorte. In campo, invece, si trasformava. Un leone!”.
Conclude il giro il suo migliore amico, Vito Ravazzini: “Ci conoscevamo da sempre. Siamo nati e cresciuti nello stesso quartiere, Monterosso. Se volete un ricordo inedito di Piermario, vi parlo dei suoi primi calci nella piazzetta sotto casa. Il calcio era tutto, per lui. Me lo rivedo piccolino, con la maglia della Sampdoria, di cui allora era tifosissimo. Il legame con gli amici di un tempo è rimasto in lui fortissimo, fino all’ultimo. Dovunque giocasse, trovava il modo di riannodarlo. Era un ragazzo dolce e sensibile, con interessi semplici. Anna, la sua ragazza, di cui era innamoratissimo e che non è qui questa sera solo perché impegnata con la sua attività di pallavolista. La musica, con i suoi amati concerti di Ligabue e dei Coldplay. Le partite guardate assieme nel suo appartamento di Bergamo. Ma per concludere vorrei insistere ancora sul suo amore per Vicenza. Lui desiderava con tutto il cuore poter raggiungere il traguardo delle 100 partite in biancorosso, ma il destino gli ha rubato questo sogno. Vicenza era per lui l’approdo sicuro, dove sentiva l’amore della gente e l’apprezzamento per il suo modo di fare calcio. Bergamo era la città dov’era nato fisicamente e l’amava molto. Ma Vicenza era la sua patria calcistica. Pensate che, per mantenere i contatti, ogni tanto ci invitava, noi 20/22 superamici di sempre, per una rimpatriata tutti assieme. Spesso, queste serate non le organizzava a Bergamo, ma qui ad Altavilla. In questa terra che sentiva sua. Tanti giocatori si impongono con le parole, con la presenza sulla carta stampata o in televisione. Lui era diverso. Mario sapeva farsi amare e rispettare anche solo con il suo silenzio e la sua discrezione. Stasera mi hanno regalato una sciarpa biancorossa. E io che sono tifoso orobico, la porterò con orgoglio. Perché lui avrebbe sicuramente voluto così”.

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Articolo scritto dalla Redazione di Biancorossi.net

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