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Per l’intervista di questa settimana incontriamo il nostro amico Gianluca Reniero, tifoso lontano che vive a Torino, dove è presente una discreta rappresentanza biancorossa che andremo a conoscere nelle prossime occasioni.

Buongiorno Gianluca, ci vuoi raccontare qualcosa di te? Il cognome tradisce chiare origini vicentine, quando e come mai ti sei trasferito a Torino?
Sì, sono vicentino per parte di papà (Cresole di Caldogno e quindi, come direbbe il buon Tavecchio, con “pedigree” biancorosso garantito) e ho vissuto a Vicenza per ventun anni. Nel 1991 da Vicenza mi sono trasferito ad insegnare per sette anni nella Scuola Italiana di Madrid: una splendida esperienza, che mi ha permesso anche di conoscere mia moglie, Silvia, di Torino, collega nella stessa scuola: scaduto il contratto in Spagna ho quindi seguito mia moglie nel capoluogo piemontese.

Torino un tempo meta dell’emigrazione della manodopera proveniente dal Sud Italia, in particolare dalla Calabria. Com’è mutata adesso la geografia dei lavoratori presenti nella città della Mole? La crisi dell’industria automobilistica deve averne modificato la composizione, qual è la tua impressione?
Sono arrivato nel 1998, quando agli ex immigrati degli anni cinquanta e sessanta provenienti, come dicevi, soprattutto dal meridione, si stavano “sostituendo” già da qualche anno migliaia di immigrati del Nord Africa e dell’Est europeo. A Porta Palazzo, il più grande mercato all’aperto di tutta Europa, si sentono parlare le lingue di tutto il mondo e in alcune scuole della città si è arrivati a classi con 20 alunni stranieri su 24. Il kebab e il riso alla cantonese fanno concorrenza spietata agli agnolotti e al fritto misto! Un’ondata migratoria con aspetti positivi, ma anche con molte problematiche che si possono immaginare; è un discorso complesso e in poche righe si rischia di cadere in stereotipi progressisti o in altri di segno opposto.

Torino/Juve e Vicenza, quanti incroci calcistici nelle storie delle due città: da Romeo Menti a Paolo Rossi, da Giorgio Puja a Giovanni Lopez, da Giorgio Carrera a Elvis Abbruscato, da Alfonso Santagiuliana a Massimo Briaschi, da Cinesinho al più recente Pol Garcia. Hai qualche ricordo particolare da raccontarci al riguardo?
Essendo un immigrato “recente”, non ho molti ricordi di giocatori visti prima a Vicenza in biancorosso e poi a Torino con una delle due maglie della città. Mi ricordo, ovviamente di Sgrigna, visto all’Olimpico di Torino quando era ancora nel Vicenza: fu una partita dove facemmo tutto, ma proprio tutto noi: un pasticcio difensivo regalò la palla gol al Toro e poi vi furono 4 o 5 occasioni mancate per un soffio proprio da Sgrigna che in quell’occasione credo abbia, comunque, giocato una delle sue migliori partite.

Il calcio nostrano è in crisi. Secondo te quali possono essere i motivi per i quali in Italia il livello qualitativo dei giocatori e così basso rispetto ai colleghi europei? Il nostro Campionato di serie B evidenzia calciatori che qualche volta sembrano non possedere i cosiddetti “fondamentali”, che arrivano a spingere sulla fascia senza però riuscire a fare un cross decente, oppure difensori che non riescono a sistemarsi correttamente sui calci piazzati. Lo abbiamo visto più volte non solo qui a Vicenza.
Mi verrebbe subito da dire che i bambini e i ragazzi di oggi non giocano più (come invece succedeva negli anni settanta a me e ai miei amici di Piazza Matteotti) per due o tre ore ogni giorno in piazza o in qualche campetto della città. Le cose sono cambiate e, anche se adesso si va fin da piccoli alla scuola calcio, mi sembra che il contatto più genuino e intensivo con il pallone (e con gli amici) si sia smarrito. Certo le problematiche sono sicuramente anche di altro segno: se penso al Milan stellare di Sacchi, non posso fare a meno di considerare che di stranieri in campo ce n’erano solo tre, ma di qualità eccelsa, come di qualità eccelsa erano gli altri otto, italiani. Oggi se trovi tre italiani in campo puoi già essere contento, ma in questo modo i nostri giovani non possono avere delle vere opportunità, né in A e, ormai, neppure in B!

Allora ha forse ragione Giorgio Carrera quando afferma che il piede è lo strumento di lavoro del calciatore e va addestrato a questo fin da bambini – con ore e ore di allenamento magari contro un muro – per sensibilizzarlo al tocco della palla. Adesso invece troppi muscoli e troppo poca tecnica?
Credo che il nostro Giorgio abbia pienamente ragione, ma senza dimenticare che all’esercizio paziente e sistematico di palleggio contro il muro andrebbero alternate ore e ore di divertenti “pallonate“ autogestite con gli amichetti: solo a questo punto dovrebbe subentrare la scuola calcio ottenendo così il massimo degli effetti. Ma temo che l’organizzazione attuale della società (lavoro, scuola, ecc.) non lo permetta più.

Dopo lo shock dell’esonero di Giovanni Lopez – che personalmente ritengo ingiusto professionalmente e ingrato moralmente – è arrivato sulla panchina del Vicenza mister Marino che ha dovuto affrontare subito una trasferta molto impegnativa a Carpi. Cosa ne pensi del suo esordio?
Non è facile prendere determinate decisioni, ma il CAPITANO (e con lui il Vicenza) meritava la conferma per almeno altre due o tre partite: la posizione in classifica, dopo la partita con il Modena, non era tale da richiedere un cambio immediato. A Marino, anche nell’interesse del Lane, faccio i miei migliori auguri; l’esordio non è facile, ma ha avuto il vantaggio di potere perdere a Carpi senza che nessuno possa muovergli alcun appunto.

Ci puoi raccontare qualche curiosità del tuo essere tifoso lontano, hai qualche aneddoto particolare da raccontarci?
Alcuni ricordi: a Madrid andavo sul terrazzo con la radio per sintonizzarmi su “Tutto il calcio minuto per minuto” e sentire cosa faceva il Lane. Al Menti, credo ci fosse ancora Guidolin, ricordo un 4-0 sull’Atalanta con una curva Sud letteralmente “impazzita”, poi lo splendido tifo dei nostri seimila in Supercoppa contro la Juve. L’ultimo mio ricordo in trasferta risale al pareggio con la Pro Vercelli e in quell’occasione ho incontrato anche il mitico Pancho; che strano pensare che in altri tempi questo stadio (poco più che una bomboniera) non sarebbe quasi bastato a contenere i VIGILANTES in trasferta!

Il giocatore, l’allenatore e il presidente biancorossi ai quali sei più affezionato e perché.
Giocatori due: Paolo Rossi (il mito della mia vita di adolescente) e Furia Pippo Filippi perché era ancora più amato di Pablito (per fare gridare i distinti, da noi, ce ne vuole e con lui i distinti si sgolavano al grido di: “Pip-po. Pip-po”). Allenatore: Guidolin a cui volevamo e vogliamo ancora tanto bene! Presidente: Dario Maraschin: forse perché voglio pensare a lui come ad una persona che ha commesso degli errori per il troppo amore per il nostro Lanerossi Vicenza.

Bene, siamo arrivati ai saluti. Cosa ti senti di dire ai tifosi, al mister e alla squadra?
Ai tifosi posso solo fare tanti complimenti per come stanno seguendo la squadra, nonostante tutto! Certo è malinconico vedere solo 35 tifosi a Perugia (tra loro anche mio fratello Marco, delle Prime Uve, che saluto), ma credo che torneranno i tempi delle trasferte oceaniche con tanti giovani di nuovo in curva e con damigiane e quintali di panini nei bagagliai dei pullman del centro coordinamento! Ai giocatori chiederei solo di essere bravi professionisti: l’affetto per la maglia verrà, poco a poco, e sarà ampiamente ricompensato dall’abbraccio del Menti. A mister Marino auguro di continuare il buon lavoro di Capitan Lopez, ma… con un pizzico (o due) di fortuna in più! A tutti: FORZA MAGICO LANE!

Grazie Gianluca della bella chiacchierata, mi raccomando non mollate mai, voi tifosi lontani siete l’orgoglio di Vicenza e il vostro arrivo al Romeo Menti rappresenta sempre una grande festa!

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