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Per rendere omaggio all’indimenticabile Giulio Savoini riproponiamo un’ intervista realizzata in occasione dei 110 anni del Vicenza Calcio e pubblicata sull’house organ ufficiale “Vicenza Biancorossa” in occasione della sfida contro il Grosseto del 10 marzo 2012.

Vanta ancora oggi il record di presenze (317) e ed è stato due volte alla guida della prima squadra conquistando il drammatico spareggio contro il Prato. Un piemontese d’origine che non è mai più riuscito a staccarsi dai suoi amati colori biancorossi. Lui è Giulio Savoini.

-Mister 110 anni di Vicenza Calcio, quali le sue emozioni legate ai colori biancorossi.
Nel ruolo di capitano mi sono sempre sentito responsabile dell’intero gruppo, dei comportamenti che si dovevano adottare dentro e fuori dal campo e questo mi ha certamente fatto sentire maggiormente legato a questa società. Per me valori come l’educazione e il rispetto dell’avversario sono sempre stati fondamentali. Come due persone in particolare, il presidente Maltauro e il Vescovo Zinato, uomini che ci hanno insegnato a scendere in campo e giocare non per noi stessi, ma per rendere felice la gente, il pubblico.

-Ci racconta qualche fatto curioso?
Aneddoti ce ne sono molti anche se sono solito ricordare quando andavo a cena dal presidente per discutere di qualche argomento. Quando erano le dieci e trenta della sera chiedevo di tornare a casa. Dicevo: “Presidente lei sa che io torno da casa sua, ma altre persone potrebbero dire che Savoini era ancora in giro a tarda ora”. Allora al ritorno mi facevo sempre accompagnare in macchina dal presidente.

-Dal terzino fluidificante allo spareggio di Prato…
Due eventi decisamente importanti. Eravamo in ritiro a Bergamo, nel 1958, vigilia della partita trascorsa tutti insieme al cinema. Lerici era l’allenatore e mi comunicò l’impossibilità di schierare Capucci. Mancava pertanto un terzino. Io risposi che la mia passione era quella di giocare in quel ruolo. La domenica mi ritrovai a giocare proprio in quella posizione. Se fosse esistito il cambio di giocatore, all’epoca ancora no, certamente sarei stato sostituito dopo un quarto d’ora. Io ero sempre all’attacco, presa la palla avanzavo cercando la profondità. In quell’occasione faci fare quattro gol ad Aronsson e vincemmo 4-2. Lo spareggio di Prato invece fu il raggiungimento di un grandissimo traguardo. Ricordo ancora quanto ho sofferto in quei difficilissimi mesi, di fronte dei giocatori certamente sopravvalutati e uno spogliatoio con molteplici controversie. Una situazione che si è risolta al meglio, circondati dall’esultanza dei tifosi che ci scortarono al ritorno sino a Vicenza. Quella è l’immagine che mi è fortemente impressa.

-Che cosa significa per lei lo Stadio Romeo Menti.
Guai chi lo tocca. Lo dico con il cuore. E’ come la Basilica Palladiana per i vicentini. Dopo tre anni dal mio arrivo a Vicenza ho deciso di abitare vicino allo Stadio. Ogni mattina quando apro la finestra scorgo quel luogo bellissimo per me intriso di ricordi ed emozioni.

-A lei si addice la scoperta di uno dei più grandi giocatori di sempre, Roberto Baggio.
Nella lontana primavera del 1980 il dottor Franco Binda, medico del Vicenza all’epoca, mi segnalò tramite un suo infermiere un ragazzino di tredici anni. Pochi giorni dopo organizzai un provino al Menti: bastarono pochi minuti per capire che era un predestinato. Finito l’allenamento con i giovani stavamo diverso tempo insieme a guardare la prima squadra, era molto curioso e voleva sapere tutto. Dopo la sua ascesa non l’ho mai più incontrato.

-Lei detiene il record assoluto di presenze con questa maglia, 317.
Voglio sottolineare anche che non sono mai stato squalificato, né in maglia biancorossa né ad Alessandria dove ho collezionato ben centoventi presenze consecutive. Questo record è il frutto di una carriera da professionista, di una vita dedicata al calcio. Nutrivo rispetto per l’avversario e per i colori che indossavo. Ora il calcio è profondamente cambiato ma mi gratifica l’affetto della gente che ancora si ricorda di me quando mi incrocia per strada. (vicenzacalcio.com)

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