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Altra intervista per il mister biancorosso Domenico Di Carlo, impegnato quest’oggi ai microfoni di Jolanda De Rienzo sui canali social di Eleven Sports. Di seguito riportiamo i punti salienti delle dichiarazioni del mister.

Il tuo è un po’ un cerchio che si chiude tornando a Vicenza: eri giocatore e allenatore della Primavera e ora ti ritrovi primo con una grande squadra.
Sicuramente sono partito da calciatore e da allenatore della Primavera a Vicenza e ora mi ritrovo ad allenare la prima squadra, per me era un sogno ritrovare questa tifoseria e tanti amici. Questo primato in classifica è merito di una proprietà solida e di una squadra forte, i protagonisti sono i calciatori che si sono messi a disposizione per lavorare al fine di migliorarsi sempre, sono dei grandissimi professionisti.

Momento più bello della tua carriera?
Quando si vince, sicuramente. Da calciatore sicuramente Coppa Italia e semifinale di Coppa Coppe. Parlando di Coppa Italia io ho parenti e amici a Napoli che non mi hanno più parlato per un po’ di tempo dopo quella partita. Siamo stati agevolati dal cambio di allenatore del Napoli, certamente, ma è stata comunque una partita storica per noi. Sapevamo che non sarebbe capitata una seconda occasione e, pur essendoci tanti incerottati, nessuno si è lamentato e abbiamo cercato con convinzione la vittoria.

Ripercorriamo un pochino la storia di Di Carlo allenatore, un uomo arrivato in A a 31 anni:
Quando sono arrivato a Vicenza venivo da capitano del Palermo grazie a Caramanno che fece di tutto per portarmi lì. Mi fece maturare come calciatore e come uomo, ho fatto un percorso di spessore alto. Ci sono stati momenti difficili soprattutto in C, avanzavamo sei stipendi. Ci siamo stretti tra di noi e lì è nato lo zoccolo duro con Viviani, Lopez, Praticò che poi grazie a Ulivieri e Guidolin è arrivato in alto. Senza una proprietà solida non si va da nessuna parte, noi eravamo una gran squadra con la dirigenza e la proprietà. Sul campo siamo andati noi che ci abbiamo messo tanto, ma dietro c’era il sostegno di una grande società. Io sono arrivato in B a 29 anni e in A a 31, sono il monito vivente del fatto che ci si debba credere sempre e lavorare per migliorarsi.

Ci racconti un po’ la semifinale col Chelsea?
Ci siamo arrivati attraverso la mentalità consolidata di lavorare continuamente per crescere: senza continuità non si va da nessuna parte, è una delle problematiche principali sia per i calciatori che per noi allenatori. Quella partita lì ci ricorda che abbiamo un pubblico fantastico, che merita la B e soprattutto la A. C’è cultura e passione e si fanno sentire forte. Se al ritorno avessimo avuto il VAR ci avrebbero convalidato il gol di Luiso e saremmo passati noi. Loro erano più esperti e hanno fatto 3 gol con 4 tiri in porta. Però non abbiamo rimpianti, abbiamo fatto più di quanto ci potessimo aspettare e i tifosi anche, sono stati incredibili.

Cosa ti hanno lasciato Ulivieri e Guidolin dal punto di vista tattico?
Sono due maestri, mi hanno insegnato che serve essere curiosi, aperti a nuove soluzioni e voler migliorare ogni giorno. Noi allenatori dobbiamo essere credibili, completi e dare una certa mentalità alla squadra che poi porta risultati nel lungo periodo.

La solidità parte anche dalla fase difensiva visto che siete la miglior difesa?
Devo ringraziare la proprietà perché mi ha messo a disposizione 22 giocatori di qualità. Il singolo sicuramente dà affidabilità e fa la differenza, ma noi abbiamo sempre vinto da squadra. Tutti pongono l’attenzione sulle perle dei singoli, ma da squadra difendiamo bene perché siamo la miglior difesa e il terzo miglior attacco nonostante la concorrenza elevata. I miei giocatori hanno fame, i tifosi hanno fame perché da tanti anni soffrono e ora che vedono la squadra lottare lottano con loro ed è un binomio fortissimo.

Miglior momento da allenatore?
Ci sono state molte partite che mi sono piaciute. Ve ne dico una: preliminari di Champions col Werder Brema, abbiamo ribaltato il risultato dell’andata con una grande intensità. Eravamo sul 3-0 all’89° ed eravamo qualificati e a 30 secondi dalla fine ha segnato un giocatore che era sul mercato e non doveva nemmeno giocare. Ce ne sono state tante altre, come la partita di Trieste di quest’anno, oppure l’esordio al Menti da allenatore della prima squadra: un’emozione unica.

Cosa ci dici sull’ultima esperienza vissuta al Chievo?
Col Chievo ho preso in mano una squadra già retrocessa e in difficoltà economiche, ho accettato perché per me è una seconda famiglia. Abbiamo fatto una salvezza storica partendo da 9 punti in classifica a Gennaio, ma anche negli anni successivi abbiamo fatto sempre degli ottimi risultati. Per me essere chiamato dal presidente Campedelli era un onore, perché ero in un momento di difficoltà personale. Ho rimesso titolare Pellissier che era considerato finito da almeno tre anni e ha dimostrato di essere un vero campione per dirvi. Poi abbiamo ricostruito la mentalità di squadra, di saper soffrire e voler lottare. Abbiamo lanciato giovani come Vignato e Semper e abbiamo ritrovato la dignità di questa squadra, pur non avendo evitato la retrocessione.

Che emozione hai provato a entrare in campo la sera della finale di Coppa Italia?
Era l’appuntamento con la storia, un mio amico tifoso era dentro lo Stadio 5 ore prima del fischio di inizio per farvi capire quanto stavamo attendendo quella partita. L’obiettivo oggi è quello di tornare a vincere e di scalare le categorie perché è giusto dare qualche soddisfazione a questa tifoseria che negli ultimi anni ha sofferto, quanto tempo ci metteremo non lo sappiamo perché dipende da tanti fattori ovviamente. Vi dico solo una cosa comunque: oggi per il calore che si sente sembra di stare ai tempi di Guidolin, si è creato quell’entusiasmo e quel calore che ci dà forza per vincere il campionato, come ai tempi della Coppa.

Molti tifosi si augurano che possa esserci un futuro simile a quello dell’Atalanta per il Lane, cosa ci dici in merito?
Il progetto c’è ed è quinquennale, poi è chiaro che bisogna raggiungere i risultati più che parlare, contano i fatti. Ora siamo primi in classifica ma sappiamo di essere forti e sappiamo che dipende solo da noi raggiungere perlomeno il primo degli obiettivi posti che è la Serie B. Sono convinto che quando torneremo a giocare sono convinto che questo gruppo qua ci porterà in B.

Molte squadre di C riescono a centrare la doppia promozione fino alla Serie A: pensi possa succedere anche per il Lane?
La cosa più importante è avere una società solida e un progetto, e noi ce li abbiamo. Poi serve la continuità: se dovessimo vincere avremmo già una buona base, ma in Serie B il livello è alto, ci sono giocatori di spessore, quindi non è automatico vincere subito. Abbiamo un direttore sportivo bravo che mi conosce bene e con una società forte alle spalle si può lavorare al meglio, anche se ovviamente questo non è garanzia di vittoria.

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