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Con la scusa di fargli di persona gli auguri di compleanno (gli anni passano per tutti ma non per lui!) raggiungiamo oggi nella sua Chioggia un tifoso biancorosso che non ha certo bisogno di presentazioni. Ci sono giocatori – molto pochi in verità – che restano incollati nell’immaginario collettivo dei tifosi come vere icone del calcio. Il loro ricordo non viene scalfito né dai segni del tempo, né dalle mode, né dall’oblio. Franco Cerilli è assolutamente uno di questi.

Buongiorno Franco, è sempre un piacere rivederti. Partiamo dall’inizio, cominciando dalla tua famiglia di origine …. Che ricordi ci puoi regalare dei tuoi genitori e della Chioggia di fine anni cinquanta?
Buongiorno a te … è un piacere essere ospite di questa rubrica, in effetti posso considerarmi a tutti gli effetti un tifoso lontano del Vicenza. Mi chiedi della mia famiglia … allora, mio padre venne a Chioggia con la seconda Guerra Mondiale e trovò lavoro all’Ufficio Igiene. Era nato a Jesi, un paese delle Marche famoso per il suo ottimo vino, il Verdicchio. La mamma invece è di Chioggia e qui si sono conosciuti, si sono sposati e hanno avuto tre figli. Io ero il più piccolo. Fin da bambino avevo la fissa del calcio … il mio regalo preferito era il pallone. Ho imparato a giocare a calcio nelle calli, dove se non sei bravo e fai cadere la palla in acqua ti mandano via e questo è stato un vantaggio che mi ha consentito di affinare le mie capacità di dribblatore. Ma dovevamo spesso cambiare campo di gioco, perché il pallone andava inevitabilmente a finire sui vetri di qualche finestra e le signore infuriate minacciavano di chiamare i vigili … A quei tempi si giocava negli oratori o per strada … non certo nelle scuole calcio come usa adesso! Chioggia era bellissima … adesso le calli sono occupate da magazzini e dalle auto … per viverla come piace a me bisogna aspettare la sera quando si può passeggiare con tranquillità senza temere di essere investiti.

A proposito, il tuo papà è stato un buon giocatore del Clodia, che nel 1971 si fuse con il Sottomarina prendendo il nome di Union Clodia Sottomarina. Le maglie si tinsero del leggendario colore granata in onore di due illustri concittadini, i fratelli Aldo e Dino Ballarin, caduti con la squadra del Grande Torino a Superga ….
Purtroppo non ho avuto la gioia di vedere giocare papà, non ero ancora nato o comunque troppo piccolo per andare al campo di calcio. Poi nel 1971 – come hai ricordato prima tu – vi fu la fusione e la serie D. La città era – e lo è tuttora – molto legata al ricordo dei fratelli Ballarin. Per quanto riguarda me verso i 12/13 anni, mi presentai per un provino nel Clodia ma fui scartato, così fui preso dal Sottomarina … una specie di sgarbo visto che a quei tempi le due squadre erano ancora divise e c’era una certa rivalità tra le due cittadine … e nel Sottomarina ho fatto tutta la trafila … dagli allievi agli juniores fino al mio esordio a 16 anni in serie C …

A quei tempi se un veneziano voleva vedere la serie A doveva venire al Romeo Menti di Vicenza …. Voi di Chioggia come avete vissuto i vent’anni in serie A della Nobile Provinciale?
Ho avuto la fortuna di veder giocare il Lanerossi Vicenza di Luison, Campana e Savoini … Sono sempre stato un tifoso sfegatato di Sivori, non della Juve eh … solo del grande Omar! Ricordo ancora che mio padre mi portò al Menti (fino a quel momento mi ero accontentato delle figurine e degli articoli dei giornali) perché un suo collega di lavoro era molto amico di Momi “Gato Mato” Luison che ci fece avere due biglietti per un Lanerossi Vicenza – Juventus. Non dimenticherò mai quella partita, vedere il mio idolo – anche se da lontano – fu un’esperienza indimenticabile … ho letteralmente toccato il cielo con un dito! Ero talmente felice che quando ritornai a scuola falsificai la firma di Sivori su un foglietto per vantarmi con gli amici di averlo conosciuto e di avergli parlato … più tifoso di così …

Poi negli anni settanta un altro illustre concittadino arriva a calpestare i campi più prestigiosi della serie A prima con la maglia dell’Inter e poi con quella del Lanerossi Vicenza. Non voglio farti litigare con i tifosi delle altre squadre, però lasciamelo dire …. la maglia più affascinante è sempre quella a strisce biancorosse con la R sul cuore …
Guarda, per diversi motivi mi sono sentito onorato di indossare le maglie sia dell’Inter, che del Vicenza e del Padova. A Milano ho conosciuto i giocatori che prima collezionavo negli album delle figurine, ho imparato tanto e ho acquisito l’esperienza per continuare. A Vicenza … un ricordo che non si spegnerà mai … anni bellissimi prima in serie A con Gibì Fabbri e poi in serie C con Bruno Giorgi, due grandissimi allenatori. A Vicenza ho vissuto dieci anni, cinque da giocatore e cinque da semplice cittadino. Quando ho la possibilità di ritornarci è sempre una festa, c’è il piacere di ritrovare vecchi amici e la familiarità con una città che mi è rimasta nel cuore. Padova me la sento addosso perché dal punto di vista personale mi ha dato una grande gratificazione. Se a Milano e a Vicenza giocavo con calciatori più famosi, Padova ha creduto ancora in me e mi ha fatto sentire importante, la promozione del 1983 poi è stata la classica ciliegina sulla torta ….

Mi è rimasta molto impressa una frase che mi avete ripetuto tutti voi giocatori di quella squadra stupenda che ha fatto sognare tutta l’Italia: “Eravamo ragazzi normali, semplici, che si divertivano a giocare a calcio … e ci meravigliamo sempre delle enormi manifestazioni di affetto che i tifosi ci manifestano ancor oggi come se avessimo fatto chissà cosa di speciale!“. Ma i bambini vivono di sogni e di ideali … tu sei conscio di aver incarnato la figura dell’eroe positivo, pur con una spruzzata di quell’irrequietezza figlia delle contestazioni della fine degli anni 60?
Noi del Real siamo stati la squadra che ha fatto sognare un’intera città e non solo. Diciamo che per fare meglio di noi si deve vincere il campionato di serie A , non so se mi spiego (ride, n.d.r.). Siamo tutti persone che amavano – e amano tuttora – il contatto diretto con i tifosi. La gente vuole vedere i suoi beniamini da vicino, poter scambiare qualche parola o scattare una foto. D’altra parte sono proprio loro che ti fanno diventare famoso, non i giornalisti o i presidenti. Dobbiamo una buona dose di gratitudine a chi ci viene a sostenere, senza di loro il calcio sarebbe nulla.

Il buon Ezio Vendrame oltre a essere un grande giocatore amava la musica e suonava – piuttosto bene devo dire – la chitarra. Tu invece come hai vissuto i tempi della contestazione giovanile in una città bollente come Milano?
Io giocavo al calcio e basta … non si faceva politica. Ci si teneva informati con i giornali e la TV su quello che succedeva, ma la nostra vita era scandita dagli allenamenti … dal ristorante e qualche volta il cinema. Una vita tranquilla in cui le tensioni politiche non erano vissute di persona.

Sappiamo che il tuo idolo era Omar Sivori, il grande campione argentino, che ha rappresentato la tua fonte di ispirazione per un gioco funambolico e dall’immagine un po’ indisciplinata dei calzettoni arrotolati sulle caviglie. A quel tempo bastava poco per essere etichettato come “estroso e ribelle” …
Sivori per me è stato, è e rimarrà sempre il mio idolo e comunque uno dei più grandi giocatori di calcio del mondo. Un uomo che non si è fatto robotizzare dal sistema ma che è rimasto uno spirito libero. Pensa che ogni tanto vado ancora a rivedermi su youtube i suoi tunnel e le sue serpentine oppure quando litigava con gli arbitri e gli avversari. Un vero spettacolo! E nel mio piccolo ho cercato di ispirami a lui … sono stato fortunato perché ho incontrato allenatori che mi hanno lasciato libero di scorazzare come un puledro nella prateria. Un giocatore deve poter esprimere fantasia, personalità ed estro … Un’unica esperienza negativa … a Monza con Alfredo Magni, che voleva imprigionarmi sulla fascia … non vedevo l’ora di scappare via e di tornare a Vicenza!

Poi il tuo arrivo a Vicenza, città che incarna più di ogni altra lo spirito della profonda devozione cattolica veneta. Gente tutta casa, chiesa e lavoro, ma che di fronte al calcio spettacolo offerto dal maestro Gibì Fabbri vive senza il sogno di tutta la vita senza nessun limite alla sua incontenibile gioia ….
Eh sì, abbiamo fatto divertire la gente di Vicenza ma ci siamo divertiti tanto pure noi. La città era accogliente e ci lasciava vivere sereni senza soffocarci come invece accade nelle grandi squadre metropolitane. Ti ho già raccontato l’episodio della famosissima partita contro la Juve, qui a Vicenza … eravamo andati a pranzo presto e dovevamo raggiungere lo stadio con un certo anticipo. Sapevamo che tutta la provincia era in fibrillazione ma non ci aspettavamo di trovare la città paralizzata dal traffico! Così, per non rischiare di arrivare in ritardo, lasciammo le auto e ci incamminammo in sei o sette giocatori verso il Menti a piedi …. Una bella passeggiata … I tifosi ci salutavano festosi … augurandoci una grande vittoria. Credo non sarebbe più possibile vivere un’esperienza come quella ai giorni nostri … La semplicità e il calore della gente erano il massimo per noi per poterci esprimere al nostro meglio. Vicenza è una città che ama lo spettacolo del pallone. Nelle altre città si dice “andiamo alla partita”, da voi si dice “andiamo al calcio” …. È una frase stupenda che fa capire tante cose e su cui meditare lungamente …

All’inizio degli anni ottanta hai vestito anche la maglia del Padova, storico avversario del Vicenza. Un derby molto meno sentito di quello con l’Hellas ma pur sempre fonte di accesa rivalità. Come ricordi le sfide dall’altra parte del Bacchiglione con la maglia biancoscudata?
E’ successo solo nel campionato 82-83 in serie C … ma non mi sembra di ricordare una particolare rivalità come con i veronesi. Comunque contro di voi non ho mai perso (ride, n.d.r.), quell’anno il Padova salì in serie B mentre il Vicenza purtroppo dovette aspettare ancora qualche anno per la risalita nella serie cadetta.

Abbiamo parlato del passato, ora il presente: quest’anno alleni la Polisportiva San Precario e si gioca addirittura al vecchio Appiani …
Ho allenato diverse squadre nei dilettanti ma erano due anni che ero fermo: quando è arrivata questa opportunità dalla seconda categoria e ho saputo dove si giocava … ho deciso subito per il sì! Il San Precario è una squadra di studenti universitari, tutti bravi ragazzi provenienti da varie regioni italiane che sono a Padova per laurearsi. Gente motivata e disponibile a seguirmi … ci manca uno che fa gol là davanti ma sono sicuro che i risultati arriveranno presto.

E il futuro? Ci sono ancora sogni da realizzare nel cuore di Franco Cerilli?
No, sogni no. Oggi festeggio i 41 anni di matrimonio (auguri … n.d.r.) ho una figlia stupenda e due nipotine Giorgia e Virginia che sono la mia vita. Non chiedo altro … solo serenità e salute per la mia famiglia, i soldi non sono una priorità per me.

Un tuo giudizio sul campionato del Vicenza: dopo la bella vittoria esterna a Trapani riusciremo a espugnare ….. il Menti?
(ride, n.d.r.) Quest’anno non ho ancora visto il Vicenza, ma lo seguo sempre in TV comunque la distanza dalle prime non è molta, siete ancora in zona play off mi pare, con i tre punti è facile risalire nelle prime posizioni. Ma a mio avviso la cosa importante è fare un buon campionato, per puntare alla serie A oltre a una buona squadra ci vuole anche una grande società e non credo che in questo momento il Vicenza se la possa permettere …

Bene, siamo arrivati al congedo: spazio ai saluti biancorossi ….
Un saluto alla città in generale … dieci anni di vita sono tanti e la porto nel cuore! Un saluto agli amici di facebook, mi fa tanto piacere poter usare questa nuova tecnologia che mi consente il contatto diretto con i miei tifosi e sono onorato che si ricordino di me con tanto affetto. Indimenticabili per me le celebrazioni del centenario a Vicenza con la mia foto tra quelle che hanno fatto la storia della società. Proprio qualche giorno fa a Padova, in occasione della riapertura del vecchio Appiani, per la partita del San Precario ho visto la mia foto sotto la tribuna centrale assieme a quella di due miti come Silvio Appiani e Nereo Rocco. Sono soddisfazioni che non hanno prezzo! Vuol dire che sono riuscito a dare qualcosa, non è solamente calcio ma anche il riconoscimento per come mi sono comportato fuori dal campo … a 16, 30 o 60 anni …. in serie A, B, C o come allenatore nei dilettanti, sono sempre stato sempre e solo Franco Cerilli, così come mi vedi adesso!

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